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Home Geofisica Storia dei terremoti dei Castelli Romani La storia sismica dei Castelli Romani - Colli Albani: Preistoria

La storia sismica dei Castelli Romani - Colli Albani: Preistoria

vulcano laziale

A differenza di quanto accade per altre zone sismiche dell’Italia Centrale la genesi dei terremoti nei Colli Albani non risiede in grandi faglie presenti nel sottosuolo ma ha un’origine vulcanica. A monte di entrambi c’è comunque la traslazione della penisola italiana verso est (Balcani) movimento che frantuma la crosta terrestre, la piega lungo alcune linee chiamate faglie presso cui si accumula l’energia di questa enorme pressione. Qui nascono terremoti quando si libera quest’energia e spesso all’incrocio delle faglie il magma del cuore caldo della terra risale in superficie in enormi camini che sono i vulcani. Seicentomila anni fa uno di questi vulcani nacque in quella che era una pianura a sud est dell’attuale città di Roma: era il grande Vulcano Laziale. Nacque in una fascia terrestre tirrenica molto tormentata per la presenza di un sistema di grandi vulcani che fronteggiava il mare per tutta la sua lunghezza, tra i quali i vicini Cimini, Vulsini, Sabatini ed Isole Pontine, a loro volta oggi epicentri di terremoti.

Le fasi del Vulcano Laziale sono abitualmente segmentate in 4 momenti principali, noti come fase del Vulcano Laziale, fase Tuscolano-Artemisia, fase delle Faete e fase idromagmatica.

La prima fase va dalla nascita del vulcano, 600 mila anni fa fino a 500 mila anni fa ed è caratterizzata da ciclopiche eruzioni che eruttano dal cuore della Terra qualcosa come 280 chilometri cubi di materiale. Tutta questa roccia viene emessa in un vasto ventaglio di modi, che vanno dai letali flussi piroclastici (quelli che sterminarono le popolazioni di Pompei ed Ercolano nel 79 DC), alla caduta di pomici, all’effusione di lava. Le colate soprattutto raggiungono dimensioni quasi inconcepibili se si pensa che la ricerca attribuisce a questa fase il colmamento della piana compresa tra i Colli Albani ed i Monti Tiburtini per oltre 200 metri di spessore, risalendo a più di 30 km di distanza fino a quote di 400 metri sul livello del mare. Questo perché provengono da un gigantesco e largo cono alto forse 2000 metri e con una base di 60 km di diametro. A furia di eruttare materiale accompagnandolo con esplosioni l’edificio del cono riporta però serie fratture al punto che il peso delle colate che ormai restano all’interno dell’enorme caldera la fanno sprofondare, forse anche per il contemporaneo svuotamento della camera magmatica sottostante.

Cinquecentomila anni fa contemporaneamente al collasso della caldera si forma un nuovo cono all’interno della stessa, le cui pareti laterali dell’edificio sono individuabili nel complesso di rilievi che va dai Monti Tuscolani all’Artemisio, un cono con una base di 15 km di diametro che comprende buona parte dei comuni degli attuali Castelli Romani. Questo nuovo vulcano prosegue un’attività effusiva minore rispetto alla precedente e le sue colate non raggiungono grosse distanze; proseguono pure le esplosioni, che creano coni di scorie sui quali sono ravvisabili molti dei colli ora noti come Albani. Delle bocche di quel vulcano ne restano oggi solo alcune estranee all’allora cono perché anche questo edificio collassa, soprattutto nella parte sud-occidentale: tra esse è ancor oggi visibile la depressione di Pantano Borghese.

La terza fase vede trecentomila anni fa la nascita del cono del Monte Faete, tutt’ora visibile. Il cratere di emissione è quello degli attuali Campi D’Annibale che dopo aver eruttato un bel po’ di materiale collassa e crea un tappo che chiude il camino principale, mentre crolla anche una parte del cosiddetto recinto interno, come si vede bene tutt’ora che l’anello sommitale dei colli Albani non è completo. Si creano altri coni di scorie gettate in aria dal vulcano e tra di essi Monte Cavo.

La quarta fase infine vede eruzioni di magma da diverse bocche molto grandi: nonostante la mole del materiale non sia cospicua essa risulta devastante perché incontra spesso grosse masse d’acqua sul suo cammino. La pressione generata dal vapore è enorme e violentissime esplosioni creano i bacini dei laghi di Albano, Nemi, Ariccia, Prata Porci, Valle Marciana, Laghetto, Pantano Secco, Giuturna, Campovecchio, Laghetto di Turno, Castiglione. Questi crateri si riempiono presto d’acqua e formano una costellazione di bacini lacustri che doveva essere unica al mondo: purtroppo la maggior parte si prosciuga per cause naturali, alcuni per mano dell’uomo (Ariccia e Prata Porci in epoca romana, nel 1611 il Laghetto di Turno). Questa fase di emissioni laviche e seguenti esplosioni dura fin quasi a tempi storici, arrestandosi intorno ai 19000 anni fa o forse più tardi.

Da allora l’attività vulcanica sembra essersi fermata, ma il lasso di tempo intercorso dalle ultime effusioni porta a ritenere il sistema in stato di quiescenza più che di arresto. Prova ne sono le continue e devastanti emissioni di grosse bolle di anidride carbonica, che come nei casi del 1999 e del 2001 a Cava dei Selci che fanno strage di animali e qualche vittima; inoltre l’attività tellurica che prosegue costante in sciami e nel fenomeno del bradisismo che sollevando di 30 cm in 50 anni il suolo dei Colli Albani porta a pensare alla presenza di una camera magmatica attiva sotto la terra.

Facile ritenere che fino al termine dell’attività del vulcano spaventosi terremoti abbiano coinvolto l’area rendendovi di fatto impossibile ogni forma di vita: le prime presenze umane documentate nell’area sono infatti quelle genti che poi si chiameranno latine che si insediano nell’area oramai quietata intorno al 1100 avanti Cristo. Dunque 15 o 16 mila anni dopo le ultime eruzioni vulcaniche degli uomini colonizzano le fertili colline ponendo le basi di una grande civiltà, quella Laziale, che confluita in maniera coercitiva in Roma non lascerà documenti riguardo a terremoti che presumiamo ci siano stati.

Nel prossimo articolo tratteremo dei terremoti durante l'epoca antica.

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